Capitolo IV: Better than me

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Astral;
view post Posted on 3/8/2009, 21:30




Better than me




Secondo una ricerca babbana le donne hanno una soglia molto più alta del dolore.
Secondo la suddetta ricerca un uomo non sarebbe mai un grado di reggere le doglie del parto, ne morrebbe. Euripide stesso ci rivelò questa meravigliosa verità attraverso le labbra e lo spirito di Medea. “Meglio combattere mille battaglie che partorire una volta sola”.
Quale sia il legame tra provare e provocare dolore sembra invece ancora un arcano celato alla comprensione babbana come magica.
Potrebbe apparire opinione comune che chi provi dolore, compassionevole lo eviti agli altri.
Ma si deve pur ammettere che la vera compassione è un sentimento sempre più raro presso il genere umano.
Sembra quasi che più questo raggiunga gradi superiori nella scala evolutiva, tanto più tenda a regredire verso le pratiche della faida, della vendetta.
Trasformando ideali in morte e sangue.
Nascondendo istinti ferini e riprovevoli dietro la follia egoistica del dolore.
Qualcuno dice che le donne amano soffrire. Con gli uomini, per gli uomini.
Eppure è una verità inconfutabile che nessun uomo potrà mai procurare ad una donna un dolore tale a quello che la stessa sarebbe in grado di procurargli se ben motivata.
Che vi sia una passione o un’indole innata nella donna per il dolore, a questa domanda non saprei rispondervi. Ma su Bellatrix Lestrange, sì.
Il silenzio quasi opprimente dello stanzone buio fu rotto da un rantolo sofferente, l’ennesimo di quella lunga settimana.
O giorni. Mesi.
Il tempo non aveva ormai valore o significato in quel luogo.
Il tempo non è dato da altro che dalla relazione tra mutamenti, azioni.
Lì il tempo non poteva esistere.
La scansione era data solo dal dolore, dalle sevizie, dalle ingiurie.
Sempre. Uguali.
Intontito dal dolore, Teruk mosse impercettibilmente il collo cercandola con gli occhi tumefatti dalle escoriazioni.
Sulla pelle sentì solo l’aria spostarsi vicino a lui, ma non la vide.
La vista calava istante dopo istante inesorabilmente.
Teruk non aveva cognome.
Presso la sua gente tutto ciò a cui si apparteneva era la natura, e il clan.
Un Leprecauno non ha altro a cui badare. I figli sono figli di tutti. La famiglia è una sola.
Lo scopo, è uno solo.
Proteggere chi custodisce il segreto più ambito…
Quella femmina non avrebbe mai udito il Segreto uscire dalle sue labbra, nemmeno l’Incanto Fidelio è forte quanto la convinzione nei propri fini, nei propri ideali.
Lo sapeva bene chi secoli prima aveva affidato ai Leprecauni quella causa, quella custodia.
Quel prezioso compito che da allora portavano avanti senza mai indugiare, senza mai rinunciare al proprio ruolo di guardiani.
Dopo tante albe e lune e tramonti, mai erano stati così vicini a rischiare ciò per cui i loro antenati avevano dato la vita…
Ma lui, l’Oscuro Signore, lui non era come gli altri maghi.
Che fosse follia, cieca brama, possessione, poco importava.
Da tanto tempo un mago simile non falcava i luoghi mortali, neanche Grindenwald, che pure anni prima si era dimostrato una minaccia, aveva raggiunto tali picchi di potere.
L’Oscuro Signore, di cui si era dimenticato o si era voluto disperdere il nome presso la gente comune, era seduttivo, potente, pericoloso.
Chi vende l’anima al demonio non può che essere pronto a tutto per ottenere ciò che vuole.
Non può che avere con sé un animo diverso da quello degli altri uomini.
C’è chi pecca per debolezza, come gran parte dei mortali.
Chi lo fa godendone. Come lui.
Come Thomas Orvoloson Riddle. Colui di cui i maghi ormai temevano persino pronunciare il nome.
-Folletto, tu quanti metodi di tortura conosci?-
La voce goduriosa di Bellatrix Lestrange si insinuò nelle orecchi appuntite di Teruk.
Il soffio profumato di spezie del suo alito, lo raggiunse sul viso, all’altezza del naso.
Eppure non l’aveva vista, minimamente.
-Leprecauno- la corresse comunque stizzito, sebbene la voce fosse ormai ridotta a poco più che un roco sussurro.
-Oh, scusa- sibilò falsamente la donna-Già i folletti. Che offesa atroce, vero? Così…fastidiosi e irritanti nei loro modi di fare, ma quale pregiata fattura quella di gioielli che riescono a produrre, non trovi?- chiese la Mangiamorte passeggiando davanti al corpo disteso malamente a terra del Leprecauno.
Teruk si risparmiò di rispondere.
Ad ogni fiato sentiva venir meno le forze, ma morire a quel punto sarebbe davvero stato così atroce?
Per quanto avrebbe potuto continuare ancora quella femmina? Incapace di vederla, ricordò lo sguardo febbricitante della Lestrange ad ogni colpo, ad ogni suo urlo.
Più che una seviziatrice gli era parsa una donna in pieno orgasmo per quella luce che guizzava fulminea nelle iridi di ossidiana.
-Contundente. Appuntito. Freddo. Caldo.-la donna poggiò l’indice della mano sul mento come intenta a rifletterci ancora.-Direi che siamo già oltre la seconda fase, folletto- continuò scorrendo lo sguardo altezzoso sul corpo tarchiato del Leprecauno.
Sui lividi violacei e sui tagli all’altezza del viso, del torace, delle mani.
Un brivido percorse la schiena di Teruk. Ne avesse avuto la forza, forse avrebbe davvero pianto, si sarebbe disperato.
Una voce flebile dentro di lui gli porgeva il consiglio.
Supplicala, Teruk, mettiti in ginocchio nonostante queste catene e aggrappati alle sue vesti.
Odiala[odiati] mentre lo fai, ma pregala, implorala…

Poteva…poteva provare. Tentare.
Salvarsi…
Dopo quello che aveva subito, gli sembrava come una speranza, l’ultima rimasta.
Utopia.
Non lo avrebbe mai lasciato andare, e se anche lo avesse fatto, con quale coraggio sarebbe tornato dagli altri? Con quale ardire si sarebbe recato a onorare le tombe di quei suoi fratelli che erano morti sotto attacco dei Mangiamorte guidati da Rodolphus Lestrange.
Mai.
Lo seppe, se lo ripetè, se ne convinse.
Mai si sarebbe chinato alle ginocchia di quella femmina.
-Allora, folletto?-
La voce pungente della mora lo sferzò con evidente tono retorico.
Aveva scelto?
Bellatrix Lestrange attese qualche minuto, troppi già per la sua naturale impazienza.
-Bene- sentenziò lapidaria.- Mentre un ghigno le piegava le piene labbra lucide di rosso, fece un cenno leggero con la mano sinistra, rimettendo a posto la bacchetta.
Dal foro ad arco che permetteva l’ingresso in quello stanzone scavato nella roccia, avanzò con passo indolente una figura silenziosa.
Teruk fu sicuro che qualcuno fosse entrato. Aveva sentito il leggero schiocco di dita della donna, come per richiamare qualcuno, come aveva già fatto altre volte in quei giorni.
Eppure non sentì nulla.
Nessun passo, nessuno strascichio sulla terra polverosa che ricopriva il pavimento di quel luogo. Nessun respiro.
Le sue orecchie si erano abituate al silenzio in quei giorni, per mancanza della vista sempre in diminuzione, per spirito di sopravvivenza.
Ma sulla terra, o all’inferno, c’è chi ha il dono di non essere udito se non da chi ha prescelto…
In silenzio si avvicinò alla Lestrange, senza proferire parola.
-Te ne occupi tu, tornerò tra due giorni per controllare- Non era una richiesta.
Era un imperativo di tutto rispetto, che tirò un sorriso malevolo a colui che si celava sotto il cappuccio scuro della saio.
-Credi che resisterà così a lungo?- Una voce stridente e innaturale fece quella domanda, provocando un senso di ribrezzo e terrore nel Leprecauno.
La Lestrange, stringendosi nel proprio mantello, mantenendosi sicura comunque di sé davanti alla figura.
Ma anche in lei qualcosa di umano nonostante tutto era rimasto, nonostante la follia ne avesse generato un anima degna dell’inferno…
-Se è messo troppo male, chiamami, passeremo ad altro.-sentenziò la donna-Sai come e dove trovarmi…-
Il Monaco annuì, se avesse fallito, di quella donna non sarebbe rimasto che cenere, ne doveva essere ben consapevole.
Uno strano odore riempì la stanza, di cenere, zolfo e…crisantemi.
Le mani pallide della figura fino a quel momento rimasta nascosta, abbassarono con lentezza il cappuccio sotto lo sguardo di Bellatrix.
E per Teruk…per lui fu una benedizione non vedere quel volto.
Bello, come un dio dell’Olimpo, come Ade e Apollo, ma con due occhi che gli avrebbero rivelato il destino che lo attendeva con prematurità crudele.
Rossi, ardenti e felini.
Si posarono sul Leprecauno inerme legato alla parete con spesse catene.
-Immagino che gli tocchi la Sala dei Cristalli. Bene.-
Così si chiuse la discussione mentre Bellatrix svaniva in una vaporosa nuvola dorata.
E mentre per Teruk iniziava un incubo, peggiore di quanto mai avesse potuto immaginare.

Remus John Lupin camminava borbottando per i corridoi del primo piano.
Era martedì pomeriggio, uno di quei pomeriggi di settembre in cui tutto sommato le giornate non erano ancora grigie, e questo voleva dire che probabilmente avrebbe dovuto usare la forza per tirare la cara Corvonero dalla sua stanza e obbligarla a scendere in giardino per iniziare gli allenamenti.
Ovvio poi che il Preside aveva deciso di darle una stanza singola.
Lucinda J. Lawley era la ragazza più asociale e misantropa che avesse falcato l’ingresso di Hogwarts.
Massaggiandosi il viso nervoso, ripensò ai consigli dei suoi amici.
Consigli… due meritavano la castrazione fisica, l’altro un esperto psicologo.
-Oh, magari ci sta pure-
Ma che razza di consigli depravati erano quelli di Sirius Black.
Un maniaco travestito da gentleman, dannazione a lui.
Una ragazzina del secondo di Tassorosso lo fissò terrorizzata,vedendolo contrarsi in modo ridicolo mentre le passava accanto.
Remus le rivolse uno sguardo desolato e accellerò il passo, cercando di controllare le mani che, al solito, quando era nervoso iniziavano a muoversi animate di vita propria, smaniando.
Il problema, ovviamente, era che chi vedeva la scena come minimo pensava che stesse parlando da solo.
La mano in tasca toccò un oggetto piccolo e tondeggiante, appena cilidrico.
Lo tirò fuori, appuntandosi mentalmente di parlare con Minus di quelle sue fissazioni di persecuzione. Aveva davvero bisogno di una cura.
-Lunastorta non si sa mai- gli aveva sussurrato con aria da cospiratore infilandoglielo in tasca durante l’ora di Incantesimi.
La scritta “Pepper spray” troneggiava di un bel rosso acceso sull’erogatore nero.
Ora, dico io. Rosso brillante. Pericolo. Bua.
Anche un bambino ci sarebbe arrivato.
Non James Potter, che con la sua curiosità maniacale aveva permesso a se stesso, a Remus e a Sirius di scoprire cosa fosse l’aggeggio che Minus gli aveva passato.
Grazie ad una bella e sana reazione urticante agli occhi.
Bella per Lily Evans che si era praticamente sdraiata sulla panchina del giardino quando attirata dalle sue urla lo aveva visto lacrimare come un idiota.
Sana per il colorito di Severus Piton, che per la prima volta in sette anni aveva finalmente deciso di fargli una visita di cortesia.
Urticante, per James in direttissima, per i Malandrini che se l’erano dovuto subire un’ora intera con imprecazioni e lamentele.
Meno per Madama Chips, che stufa di sentirlo boicottare contro le industrie babbane di quelle “armi improprie e legalizzate”, incredibile come riesumasse vocaboli probabilmente sotterrati dal quidditch in quei momenti, gli aveva ficcato un leccalecca alla fragola più nella gola che in bocca e poi lo aveva medicato.
-Regalino-
Gli aveva detto ancora prima James, la futura vittima dell’urticante, lanciandogli un pacchetto regalo con tanto di fiocco rosso.
Remus si risparmiò persino di riguardarlo, visto che era diventato esattamente dello stesso colore quando, non aspettandosi una delle solite idiozie senza pudore di Potter, aveva aperto il pacchetto davanti a mezzo corridoio, tirandone fuori...dei preservativi.
Roteando al ricordo gli occhi verde acqua, Lupin gettò senza curarsene troppo il pacchetto da una finestra accanto aperta.
In quella scuola di certo non sarebbe mancata l’anima pia che li avrebbe raccolti.
A volte aveva la netta sensazione di studiare più in un bordello che in un istituto scolastico…
Senti un borbottio dalla seguente finestra aperta. Ecco, avevano già trovato il loro nuovo e contento padrone.
Remus continuò oltre il corridoio che permetteva di accedere alla scalinata che collegava alla sua amata Torre, proseguì a sinistra tra i saluti cordiali di quadri di illustri Maghi che un tempo erano stati insigni professori di Hogwarts.
Lellman Gilmore, un noto Alchimista del 1800, lo salutò cordialmente al suo passaggio, più volte si era fermato a chiacchierare con il ritratto, ma in quel momento Lupin aveva ben altro in testa.
Rimozione coatta.
Di Lux Lawley dalla sua stanza, più precisamente.
Mogio mogio giunse alla Torre sul lato Ovest del castello. Una scalinata tempestata di zaffiri blu sui lati degli scalini si presentò agli occhi ammirati del biondino, che ancora una volta si convinse di come lo spettacolo delle Torri di Corvonero e Grifondoro fosse ineguagliabile alle dimore di Tassi e Serpi.
Con la borsa colma di libri sotto braccio, Remus si arrampicò sulla scalinata e giunse dinnanzi ad una porta. Nessuna maniglia, nessun quadro.
Quella sadica della Lawley ovviamente non si era mica scomodata ad aprirgli!
E ora?
Per quanto i suoi voti scolastici fossero alti, e la sua mente definita una delle più brillanti in quella scuola, restava il fatto che i Fondatori di Hogwarts non erano certo degli idioti.
Cosetta Corvonero in primis. Quindi se quel trucco c’era, al pari della parola d’Ordine a Grifondoro, era di certo sicuro che passassero esclusivamente i Corvi per quella dannata porta.
Un risolino divertito lo colse alle spalle.
-Se continui a fissarla di certo non arrossisce per farti passare, Remus- lo schernì David Prewett vestito di Blu e Argento, beccandosi una gomitata di rimprovero dalla sua compagna che gli stava accanto.
-Supponente- sbuffò la moretta scuotendo il capo.
-“Se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simile gente.”-
recitò Prewett saccente, ricordando le parole della filastrocca del Cappello parlante.
Becky Mead al suo fianco sbuffò sommessamente roteando gli occhi color cioccolato.
-Sempre il solito Prewett, mi chiedo come abbiano fatto a eleggerti Caposcuola- borbottò la ragazzina, che ancora frequentava il quinto anno come Prefetto per la stessa Casa di David.
Remus sorrise bonario, consapevole del fatto che in fondo Prewett non era tutto quel male che James insisteva a sottolineare.
Il loro unico problema in fondo era Lily Evans, e la condivisione di quest’ultima.
Anzi a pensarci meglio, quei due avevano molte più cose in comune di quante mai avrebbero ammesso.
-Il mio amore è in camera a fare la secchiona?- chiese David, mentre Becky si avvicinava alla porta che le pose l’enigma per poter entrare.
-Credo stia finendo la relazione per la Sprite, poi so che doveva vedersi con James per gli esercizi- rispose Lupin.
-Ah, vero- commentò lapidario e con una smorfia Prewett.
Remus sorrise. A James non aveva detto nulla, perché vederlo seriamente rosolare per una volta era piuttosto gratificante e un incentivo a fare sul serio con la bella Grifondoro, ma ovviamente lui alla storia tra Il Corvonero e Lily non ci aveva minimamente creduto.
Fosse stato un po’ meno accecato dalla gelosia, forse se ne sarebbe accorto pure il Cercatore, pensò sorridente.
Sentì sussurrare alla moretta la risposta dell’enigma verso la porta, che con uno scatto si aprì dinnanzi a loro, svelando una grande sala decorata di panneggi blu mare che inframmezzavano una decina di librerie che percorrevano tutto il perimetro della Sala comune di Corvonero.
-Come mai a Corvonero?- chiese con il faccino pulito intimidito la Mead, proseguendo verso l’interno.
-Oi oi!- sghignazzò David Prewett alle loro spalle- Lezione con Satana oggi, vero Grifondoro?-
-Grazie tante David…-mugugnò Remus guardandolo storto, quello era proprio l’incoraggiamento di cui aveva bisogno!
-Oltre all’esaurimento, vedrai che picco la tua media- rincarò la dose il biondino, facendosi guardare male dalla sua compagna di Casa.
-Scusa, ma come farai a entrare al Dormitorio femminile? C’è lo scivolo… io non vado a chiamarla- aggiunse quasi sgomenta-
-Sì che poi ti mangia- la prese in giro Prewett- Sai piccolina se vuoi il modo per giungere dalle ragazze, c’è…-aggiunse avvicinandosi al viso della ragazzina facendola arrossire di tutto punto.
-Idiota- sentenziò la Corvonero salendo di corsa le sue scale.-
-Sei tremendo- commentò con tono di rimprovero a David.
-Sì, e lei Alice nel Paese delle Meraviglie. Io vado a farmi una doccia, buona fortuna Lupin, spero tornerai alla tua torre senza regressioni mentali- ghignò facendogli ciao ciao con la mano, salendo poi le scale che portavano al dormitorio delle ragazze con la levitazione.
Nel corridoio alcun ragazze chiacchieravano delle lezioni appena concluse, due in fondo litigavano. Ma Remus non ebbe bisogno di chiedere per sapere quale fosse la stanza della Lawley.
Poco più avanti una porta tutta ricoperta di adesivi di strani uomini ricoperti di bracciali, piercing che il Grifondoro guardò disgustato.
Bussò una, due volte, ma nulla.
Ci mancava solo che non ci fosse, l’avrebbe uccisa.
Si passò una mano fredda sulla nuca, tentando di calmar eil nervosismo.
-Non ti sente-
Si voltò trovandosi di fronte una Corvonero del suo stesso anno.
-Insonorizza la stanza e tiene lo stereo a tutto volume- spiegò sorridente- Musica-spiegò da figlia di babbani rendendosi conto che probabilmente non sapeva cosa fosse uno stereo.
-Ah, bene-
Sì, sempre a migliorare.
La porta come per telepatia tuttavia si aprì.
Una scazzosa Lux con i capelli ancora bagnati, coulotte nere e top in lycra dello stesso tetro colore aprì, fissandoli malissimo.
-Allora? Stavo giusto per mandarti un allocco per sapere se ti fossi perso, Lupin-
Remus la guardò stralunato come chiedendosi:”Vestita così????”.
-Lindsay?- fece poi la Lawley verso la ragazza che stava parlando con Remus fino a qualche secondo prima.
-Sì?-
-Hai presente come funziona l’erogatore un profumo?-
-Certo…-rispose quella titubante, non capendo dove volesse parare.
-Quindi? Come?-la incalzò la bionda incrociando le braccia.
-Beh, si preme l’erogatore, il profumo dentro la bottiglia per un meccanismo così innescato si vaporizza…-tentò quella.
-Brava- rispose con un sorrisetto la Lawley, poi cambiando sguardo-Fa finta che tu sia il profumo e la mia bacchetta l’erogatore…eclissati!-concluse infuriata.
Remus deglutì, mentre la vittima di quello scontro se ne andava alla velocità della luce.
-Entra- ordinò la ragazza lanciandogli un’occhiataccia.
E fu così che Remus conobbe il caos.
Quella non era una stanza da letto. No, era il terzo girone infernale catapultato momentaneamente ad Hogwarts per lavori in corso agli Inferi!
Lo sguardo verde acqua seguì una montagnola di magliette, jeans, quella che supponeva fosse la camicia della divisa, slip.
Un reggiseno pendeva dall’angolo del letto e…oddio.
Un furetto correva liberamente tra i cassetti rimasti aperti dell’armadio a muro.
Era come se il ligio, perfetto, pignolo Remus John Lupin fosse appena entrato nel suo incubo personale.
-Che c’è?- proferì con lo sguardo infuocato la biondina.
-Niente, niente- borbottò Remus, guardandosi ancora attorno un po’ spaesato.
Lucinda roteò gli occhi seccata, poi prese la bacchetta e fece sparire un po’ di roba…sotto al letto. Inutile descrivere lo sguardo inorridito di Remus, che seguì ipnotizzato quella bacchetta.
-Qui?- chiese titubante Lupin osservando la mise della Corvonero.
-Certo, ho fatto un incantesimo a pareti e oggetti, così non mandi a fuoco le mie cose…-gli spiegò la Lawley.
Remus roteando gli occhi si alzò dalla sedia, almeno non faceva storie per iniziare.


Unghie perlate ticchettavano nervose sulla superficie in noce lucida di una lunga bancata.
Un sonoro sbuffo provenne dalle labbra di una Caposcuola a caso di Grifondoro.
Quindici minuti di ritardo. Meglio quel dannato non poteva iniziare, tanto più che lei doveva ancora finire la chilometrica ricerca per storia della Magia da consegnare entro il giorno dopo.
Finalmente le scuse trafelate e ansanti di James Potter la raggiunsero dalla porta d’ingresso, sul quale si era praticamente gettato sgommando con la sua Ceraunos 3000.
-Potter.-sibilò la Evans assottigliando pericolosamente le iridi smeraldine e piantando le mani sui fianchi.
-Lily- deglutì James, tentando di salvare il salvabile.
-Non ci provare Cercatore dei miei stivali- lo minacciò la Grifondoro avanzando verso di lui.-
-In che senso?- glissò Potter, poggiando la scopa su una banco poco vicino.
-Lily…mi chiami così solo quando l’hai combinata grossa e sai di essere in imminente pericolo di strangolamento, idiota.-
-Non trovo educato darmi dell’idiota- fece con aria da scolaretto saccente, ispirando istinti omicidi alla compagna-e poi sei tu che mi proibisci di chiamarti per nome- aggiunse corrucciato.
Un ringhio sommesso partì dalla Evans, che si limitò a scuotere il capo rassegnata alla fine.
Tanto con Potter, era tutto inutile.
Solo il suo piano avrebbe avuto successo, ripagandola di decine di scene simili, figuracce pubbliche e litigi con fidanzati esasperati da quel perditempo.
-Cominciamo prima che decida di procurarmi un biglietto per Azkaban- ringhiò la Evans sventolando la mano scocciata.
-Litigheresti anche con le guardie- battibeccò James accomodandosi su uno dei banchi.
-Alzati, iniziamo subito, soprattutto tenendo conto del tuo mega ritardo- ordinò Lily Evans lanciandogli un’occhiataccia mentre annodava un elastico tra i capelli rossi, per scostarli dal viso raccogliendoli in una coda alta.
Potter, sorrise appena piegando l’angolo della bocca, gli occhi nocciola chiaro scivolarono quasi riverenti sulla linea morbida del collo e delle spalle lasciate scoperte dalla canotta chiara della ragazza.
Le iridi verdi di Lily si assottigliarono cogliendo l’attenzione di James su cosa fosse concentrata.
-Tsk- la voce colma di superbia e sarcasmo ruppe il silenzio che da qualche minuto si era creato tra i due Grifondoro.
-Che c’è?- la riprese James, cadendo dalle nuvole e distogliendo lo sguardo dall’epidermide chiara per spostarsi direttamente nei suoi occhi Verdi.
-Non cambierai mai, Potter.-
C’era quasi rabbia nel suo tono.
Perché? Perché questo rancore nel cogliere libidine e desiderio nello sguardo di quel cercatore?
Non era il primo. Non sarebbe stato l’ultimo.
Allora perché proprio in quello sguardo di terra quel guizzo voglioso la infastidiva?
-Di che parli?- rispose James mordendosi il labbro inferiore nervoso.
-Di ciò che vuoi- chiarì con voce calda la Evans.-
-Cosa voglio?- chiese come un bambino James, calamitato dal suo sguardo.
-Me-
Il respiro caldo della Grifondoro lambì la guancia leggermente ruvida di barba del Cercatore, spiazzato da quel tono, da quei gesti.
-Sì, Potter, dopo anni ci sono arrivata che non scherzavi. Conoscere altra gente, aiuta. Ti fa consolidare l’autostima- la mano di Lily affiancata a quella di James sul banco, la sentì tremare.
Gelosia.
-E sono arrivata alla conclusione che tu mi vuoi, Potter.-
-Te lo ripeto da anni, Evans- sussurrò roco James piegandosi sulla guancia della compagna, accorciando la distanza dei loro respiri.
-Non me ne faccio nulla del tuo desiderio, Potter-
La frase giunse come una doccia gelata. James d’istinto si ritirò contro il banco, schiacciando la zona lombare contro di esso. La ferita sanguinante dentro, faceva decisamente più male.
Ciuffi rossi come lava si frapponevano tra lo sguardo fremente della Caposcuola e quello ferito di James Potter. In uno scatto le mani del Grifondoro cercarono le spalle esili della Evans apprestandosi a scostarla da quella visuale.
Con pochi passi frettolosi la superò voltandole le spalle, le mani poggiate al muro freddo dell’aula. Rimasero così per minuti interi, in silenzio.
Lei con i capelli in parte riversi sul volto e le mani chiuse in pugni.
Lui a fissare le proprie, a studiare certosinamente i piccoli tagli sui polpastrelli di indice e pollice, i piccoli calli che i guanti avevano formato in anni di allenamento.
-Credi che lui sia meglio di me?-
Lily Evans rimase impassibile, al di fuori di un sorriso tirato che venne a fiorire all’angolo della sua bocca.
-Meglio, peggio, più bravo, più intelligente, meno simpatico, più carino. Meno. Più. Meno. Più.- cantilenò quasi istericamente la Caposcuola girandosi finalmente verso Potter, fissando le sue spalle curvate secondo la linea delle braccia ancora stese verso il muro in pietra.
James Potter scosse la testa, mentre sentiva sorgere in sé qualcosa diverso dal dolore, dalla delusione o dalla disperazione. Qualcosa che faceva parte sempre di lui, che spesso lo aveva portato a sbagliare.
Che lo aveva portato a quel punto, pensò tristemente.
A farsi odiare dall’unica ragazza che avrebbe mai potuto amare.
Quel fuoco, quella sorgente di ribellione che si faceva strada bruciandolo dentro, sgorgando quasi con ferocia da dentro di lui, prepotente.
Che lo faceva parlare d’istinto, che li faceva dimenticare di esserne innamorato, che gli impediva di fare pronostici su conseguenze, pene, costi da pagare.
-Ti ho fatto una domanda, Evans.- scandì il Cercatore, con lo sguardo rovente.
Si era voltato verso di lei, a braccia incrociate aspettava una risposta.
-David sarà sempre meglio di te. Lui è un mio amico, tu sei un fastidioso insetto che persiste a rendermi la vita ad Hogwarts una persecuzione se non nei rari momenti in cui finalmente decide di farmi prendere fiato per soddisfare le sue necessità biologiche!- Urlò la Evans. Urlò più di quanto realmente avesse voluto, dovuto.
-Io non parlo di Prewett-
La voce assottigliata di James la ferì al petto come un dardo avvelenato, intinto di un potente intruglio venefico che dalla punta si iniziò a propagarsi dentro di lei.
Le labbra rosee della ragazza si chiusero con stizza, premettero, ma non per trattenere insulti.
A quelle parole, Lilian Evans non ebbe nemmeno la forza di imprecare contro James Potter.
Non ne aveva più l’energia, la voglia, il coraggio.
Non aveva più lacrime forse per quello.
-Visto che non hai voglia di lavorare ci vediamo un altro giorno.-in fretta afferrò come una ladra la sua borsa tentando di lanciarsi verso l’ingresso, ma le mani forti di James l’afferrarono incastrandola contro un banco.
-Non vai da nessuna parte, Evans. Ora finiamo questo discorso.-la riprese a denti stretti James.
-La mia vita non ti riguarda-
-Non ci sperare troppo, Lily-
-O mi lasci andare o inizio ad urlare- lo minacciò la ragazza-non scherzo, Potter-
-Allora rispondi-
-Severus non ti riguarda, non ti riguarda che rapporti ho con lui, e niente di niente, capito?-
Ma l’ultima frase, il tono non convinsero nemmeno la ragazza.
-Ti farà del male- sussurrò James.
Gli occhi verdi di Lily si sgranarono sentendo la mano gentile del ragazzo carezzarle i capelli.
-Faresti qualsiasi cosa per ottenere i tuoi scopi- lo aggredì Lily riprendendosi dallo stupore e cacciando via la sua mano.
James Potter abbassò il capo ferito, continuando ad ascoltare le sue parole adirate.
-Senti chi parla poi! Tu mia fai stare male dal primo momento in cui ci siamo conosciuti!-
Vedi, piccola. Tu quell’istante non lo ricordi nemmeno…
-Non hai fatto altro che prendermi in giro, perseguitarmi, farti odiare! Quindi ora non ti lamentare se finalmente ci sono riuscita!-
-Lui ti farà stare male- replicò serio James, alzando lo sguardo in modo tale da farla tacere- non lo odierai, perché non ne sei capace, tu non sei capace di tradire chi ti è stato amico, continuerai a volergli bene come fai ancora, continuando a fingere di non vedere che lui non è più il bambino che conoscevi, che ha fatto delle scelte e non è solo vittima di essere. Continuerai a cercare di stargli accanto. Ma ti farà male. Non come ho fatto io, ma te ne farà tanto. Perché lui ti mentirà, Lily. Da me avrai sempre la verità, ricordatelo, SEMPRE.-


La lucida vetrata rimandava il riflesso del fuoco rossastro che languiva e moriva su di essa.
In quel riflesso caldo e bruno annegavano ombre suadenti che si muovevano ritmicamente, ma la più snella era quella che spiccava in quella danza frenetica.
Il leggero ciuffo castano ramato appiccicato alla fronte dal sudore, il crine riverso sulle spalle del compagno rivolte verso la finestra. Alison Moore ritmava il movimento veloce del proprio bacino su quello del suo compagno di Casa, una anno appena più giovane di lei, ma molto più impacciato, inibito di quanto la Serpeverde fosse stata alle sue prime notti in compagnia dell’altro sesso.
La bocca gonfia di piacere, vermiglia come ciliegie mature, premeva sulla scapola del ragazzo mentre le unghie infliggevano venerei supplizi. Sorrise la mora Slytherin sentendo i mugolii prima sommessi crescere dalla gola del ragazzo, le mani le artigliarono i fianchi seguendo la forza e la spinta dell’orgasmo ormai nascente.
Su quella vetrata ancora una volta scorsero, stavolta per fermarsi, le iridi chiare di Alison.
Restarono fisse su quella superficie lucida da cui traspariva il fittizio cielo che si stagliava sopra il giardino d’inverno al centro di Serpeverde.
Ferme anche mentre goduriosa muoveva la lingua sul collo del compagno, lambendo con estenuante indugio poi la tempia madida.
Alison Moore, non lo distolse il suo sguardo, come non aveva fatto per tutto quel tempo mentre a cavalcioni sul Serpeverde godeva di altro tepore.
Dal giardino d’inverno proveniva solo silenzio, interrotto a tratti dal fruscio della scura edere che adornava le pareti in pietra lavica italiana.
Nessuno, a parte i Serpeverde, conosceva quel luogo, sovrastato da una cupola di cielo creato con la magia, che da secoli era conservato al centro del Dormitorio di Serpeverde, che le altre Case immaginavano come un grande sotterraneo lussuosamente arredato ma privo di luce e finestre.
Tutte le stanze si affacciavano su di esso, esattamente come quella di Alison Moore.
Tuttavia se le alcove degli altri studenti si proteggevano di scuri tendaggi e incanti oscuranti, non fu lo stesso in quella sera per Alison. Come non lo era stato in molte altre.
Ancora nuda porse la camicia con pigrizia insolente al proprio compagno, e lo guardò senza troppo rimpianto uscire dalla porta della sua camera.
A gambe accavallate tornò a fissare ironica fuori dalla finestra, un punto in cui molti avrebbero definito ci fosse il vuoto.
Con la mano sinistra scostò i capelli disordinati dal viso, facendoli scendere morbidamente su una spalla, senza fretta si alzò dirigendosi verso la grande vetrata su cui la luce del fuoco iniziava ad affievolirsi allo spegnersi del caminetto.
Nuda e senza pudore, con i seni ancora turgidi scoperti dai lunghi boccoli scuri, avanzò fino ad essa accostandovisi con sorriso soave.
La mano chiara e affusolata si posò sul vetro leggermente appannato.
Subito una più grande e forte vi si accostò dall’altra parte del vetro.
Aprì la finestra per poi tornare al proprio letto per sedervisi comoda. Aspettò silenziosa, sapendo bene che non sarebbe stata delusa dall’attesa.
-Da quanto lo sai?-
La voce e lo scatto della finestra richiusa seguita subito dallo strofinio delle tende che sigillarono la sua camera, fece alzare il viso alla Moore direttamente sul suo ospite.
Lo sguardo di ossidiana di Evan Rosier indagava il suo viso e il suo corpo con curiosità quasi morbosa.
-Un paio di settimane-
-Più o meno da quando te la fai con i ragazzini- alluse il Serpeverde col tono leggermente inasprito.
-Più o meno da quando mi hai visto uscire dalla Sala Comune con Rupert- ironizzò la Moore- non ho ancora capito se ti piacessi io o lui- lo provocò, mentre Evan si avvicinava sempre più.
-Non mi piace quando fai così-replicò Rosier con la sua solita voce bassa, roca.
Le prese le mani poggiate sulle ginocchia, portandole dietro la testa fino a costringerla dolcemente a sdraiarsi sulle lenzuola umide.
-Però ti piace guardarmi- sussurrò la ragazza ad un centimetro dalla bocca del Serpeverde sdraiato su di lei. Con un gesto quasi intenerito scostò un ciuffo di capelli corvini dalla sua guancia, portandolo dietro l’orecchio del ragazzo.-Vuoi stare con me?- chiese con voce capricciosa Alison spostando la gamba sinistra dietro la schiena di lui per avvolgerlo.
Era una richiesta, una provocazione.
Forse una supplica?
Rosier fece pressione sui gomiti per sollevarsi leggermente e guardarla direttamente negli occhi, ma di scatto il viso della Serpeverde si voltò dall’altra parte.
Distogliendo l’attenzione Rosier si accoccolò nuovamente sulla ragazza, trattenendo il peso con le braccia per non farle male.
-Conosci Virginia Gilmour- chiese piano il ragazzo affondando il viso nella spalla nuda della Moore.
-No. Ma conosco i suoi genitori, sono stati ospiti dei miei zii ad una festa l’anno scorso. Mi sembra studi alla Beauxbatons- sussurrò Alison ancora voltata dall’altra parte.
Un silenzio troppo lungo intervallò le loro parole in quella stanza del sotterraneo verde-argento.
-La sposerai?-
Fu Alison per prima a interrompere quella tacita pausa, con voce incerta e tentennante.
-Ai miei farebbe molto piacere-
-Non è una bella risposta nei confronti della tua sposa- ribattè con tono infastidito la ragazza- dovresti dimostrare più entusiasmo verso la madre dei tuoi rampolli-
Se il tono il più possibile contenuto avrebbe potuto ingannare l’ascoltatore, quell’ultimo termine pomposamente pronunciato, troppo per la primogenita di una nota famiglia Purosangue, tradì la mora Slytherin.
-Sei arrabbiata con me, piccola?- La guancia vellutata e ancora colorita di Alison fu sfiorata dal tocco leggermente esitante, nervoso del ragazzo.
-No-
-Sei cresciuta dalla tua prima volta, ricordi?- le chiese con voce ovattata il Serpeverde. Poi continuò a parlare vedendo che a quei ricordi la ragazza non dava risposta.
-Scommetto che tua nonna ha già iniziato a stilare la lista dei pretendenti…-la schernì con poco entusiasmo, mentre continuava a carezzarle la guancia, come per tranquillizzarla.
-Sì mi ha accennato qualcosa quest’estate nella tenuta di campagna…- mormorò Alison iniziando ad alzarsi.
-Ti vesti?- chiese confuso Rosier scostandosi per farla sollevare. La vide raccogliere la camicia bianca della divisa e indossarla sopra le mutandine.
-Vieni qui- Si sporse leggermente dal letto, costringendola a sedersi ancora svestita tra le sue gambe tirandola per un braccio. Senza proferire parola come una bimba ubbidiente si accoccolò tra le sue braccia aspettando che continuasse.
-Sarai felice- disse quasi con una promessa Rosier baciandole la guancia.
-Non è vero, e neanche tu- concluse quasi speranzosa abbracciando per il torace- Mi toccherà sposare qualche vecchio maniaco o un idiota, come quel Duca di non so cosa che mia cugina ha sposato l’anno scorso-lamentò astiosa.
-Sarai felice.- continuò a insistere testardo.
-Non potrai più guardarmi- gli disse come se lo stesse ricattando.-Né baciarmi- aggiunse con stizza incrociando le braccia sulla camicia semiaperta.
-Non credo che il tuo consorte ne sarebbe entusiasta in effetti- rise Evan carezzandole i capelli castani.
-Sarò la tua amante…-
-Sarai la donna sposata d’alta società stranamente fedele e rispettosa del proprio marito, né io né altri saranno i tuoi amanti, non ne saresti capace-
-Perché ti sei così convinto che io sia meno Serpeverde di te che progetti di servire il Lord Oscuro, perché?-
-Perché non voglio che tu ti sporchi le mani, piccola. Io potrò anche uccidere questi maledetti Mezzosangue, ma non è cosa per te.-
-Mia madre fa parte del suo esercito, è probabile che farò esattamente la stessa cosa-
-Ci sono diversi tipi di Mangiamorte, piccolina- sentenziò stancamente Rosier.
-Dubiti della unanime devozione alla causa contro i sangue sporco?- ribattè inviperita la Moore.-
-Dubito solo che tutti i suoi devoti servi abbiano davvero il fegato o la capacità di uccidere quei cani, piccola. E non fa per te per quanto il tuo odio per essi sia indubbio. E non li ucciderai. Odiali, ma lascia che siano quelli come me a ucciderli-
Le parole uscite dalle labbra di Evan Rosier suonarono quasi come una delle profezie di Miria Eurethia Luthiel.
Ancora qualche anno e Alison Moore l’avrebbe vista realizzarsi sotto i suoi stessi occhi, sul sangue riverso a terra. E sebbene in quel momento di gloria e terrore del grande Lord Oscuro non avrebbe mai potuto prevederlo, non solo quello dei babbani e dei sangue sporco.

 
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