Capitolo III: Look at your game

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Astral;
view post Posted on 21/7/2009, 09:48




Look at your game








L’immagine stessa dello specchio in quel momento sembrava ridere di lei.
Narcissa Black stava eretta, come la ballerina di un carillon, su uno sgabello coperto di pelle chiara, fasciata in un lungo abito bianco impreziosito di veli e pietre di fattura folletta.
Madama McClan volteggiava attorno alla sua figura con bacchetta e rocchette di filo sotto lo sguardo attento della figlioletta che la assisteva per imparare quell’arte che aveva reso sua madre la più ambita sarta del mondo magico britannico.
Arise Hilary Black fissava la figlia mentre con la mano sottile portava alle labbra la tazza di porcellana che emanava un tenue profumo di pregiato thè orientale.
Lady Black era sempre stata un tipo indifferente a qualunque cosa succedesse attorno a lei.
Una freddezza simile per alcuni versi a quella che la sua figlia minore rispecchiava sempre più di giorno in giorno. Tuttavia alcune note, alcuni atteggiamenti, rivelavano agli occhi più attenti una profonda sfumatura tra le inclinazioni delle due donne.
Apatica. Priva di alcuna emozione.
Così molti avrebbero distinto la madre dalla figlia.
Debole rumore della forchetta all’angolo del piatto era stata l’unica reazione di Arise Black all’annuncio delle nozze di Narcissa.
Stessa cosa qualche anno prima per la primogenita, Bellatrix.
-Bene-
Ecco le uniche parole che quella donna aveva saputo pronunciare dinnanzi alla notizia del matrimonio della figlia.
Narcissa le somigliava solo nella patina di placida condiscendenza e alterigia.
Non che quest’ultima non la contraddistinguesse, ma alla base di questo suo modo di fare stava un’alta opinione di sé, una consapevolezza, una convinzione anzi, che gli altri le dovessero prestare attenzione.
Una supponenza ben diversa quindi, che se faceva spesso apparire la madre come un semplice accessorio di quella grande casa, rendeva Narcissa una di quelle donne da cui è sempre meglio guardarsi, sempre essendo abbastanza accorti da capirlo.
Lady Black si alzò elegantemente dalla poltrona in velluto blu notte per recarsi alla porta a cui qualcuno aveva appena bussato.
La socchiuse appena mentre la sarta continuava sotto l’occhio diffidente di Narcissa ad appuntare tulle.
La donna tornò appena qualche minuto dopo facendo un cenno silenzioso alla McClan affinchè togliesse il disturbo.
Le labbra sottili della bionda strega si strinsero appena in un sibilo quando, uscite le donne, il respiro di Lucius Malfoy si accostò caldo alla sua schiena solleticandola sulla pelle scoperta dal vestito.
-Cissa…-sussurrò abbracciandola da dietro, con quel nomignolo che si beava di fregiare in pubblico ostentando una confidenza che in realtà la bella Black non gli aveva mai concesso.
Nemmeno quando fai finta che scopartela sia il massimo.
Maledetta.
Sì quelle erano esattamente le parole che ad un gesto simile Bellatrix avrebbe goduto a sputargli addosso.
-Lucius- replicò, senza nascondere un certo fastidio, la bionda strega- Come mai qui?-
Gli occhi grigi di Malfoy si spostarono sulla grande specchiera, fissando attraverso quella l’immagine della fidanzata.
-Dicono porti sfortuna vedere la sposa con l’abito da cerimonia prima del gran giorno- osservò divertito il mago stringendo ancor di più le braccia attorno ai fianchi sottili di Narcissa.
Claustrofobia.
Ecco cosa qual’era la sensazione che a quegli abbracci le invadevano la pancia.
Avrebbe voluto urlare, graffiarlo.
Fargli del male affinchè non la stringesse più a quel modo.
Sapeva bene cosa le voleva ricordare con quei gesti.
Esattamente quello che tutti gli uomini della sua vita non avevano fatto altro che ricordarle.
Mia.
Suo padre prima, Lucius poi.
Thomas. Sì anche lui glielo ricordava in mille modi.
Ma Merlino, meglio essere del Lord Oscuro, del diavolo in persona, che di Lucius Malfoy.
Ben altro era il possesso che il suo fidanzato voleva imporle.
Mentre Thomas…Narcissa si era chiesta mille volte cosa davvero si aspettasse da lei.
Si odiava per la consapevolezza di non avere la minima probabilità di indovinare cosa ci fosse nella mente di quell’uomo.
Così diverso dai maghi che fino a quel momento aveva conosciuto, da non riuscire ad approntare le minime supposizioni.
Terribile, sì.
Questo la giovane Black lo aveva capito subito. E non si era mai posta il problema di esternare a lui stesso il disgusto per alcuni metodi che di certo Riddle non esitava ad utilizzare per ottenere ciò che voleva.
Metodi brutali, fisici.
Che richiedevano urla, dolore, sangue.
Che chiamavano gli spiriti ad andare contro ogni legge di principio.
-Cissa hai sentito?-
La voce pacata di Lucius Malfoy la strappò dai suoi pensieri, inducendola a incontrare i suoi occhi sulla superficie lucida che le stava di fronte.
Poi, istintivamente, si abbassò sulla mano dell’uomo.
Le accarezzava il ventre, lentamente.


L’aula di Difesa era al solito piena e confusionaria.
Il vociare degli studenti riempiva la grande aula dominata da un palco da duelli appena fatto apparire dal giovane Professore di difesa.
Sirius Black lo guardò con sufficienza sventolare la bacchetta con eccessiva scenicità.
Decisamente il piccolo Black non amava le persone esagerate.
E Gilderoy Allock lo era in tutti i sensi.
Nel modo di vestire assolutamente eccentrico e pomposamente da snob, nel modo di parlare squillante come stesse sempre declamando chissà quali perle di saggezza.
Stronzate.
Quello era un idiota, e a lui non l’avrebbe fatta come a tutti quei mocciosi di Tassorosso che lo fissavano al pari di un dio sceso in terra.
Perfino Remus, una volta tanto, gli aveva dato ragione.
D’altra parte nemmeno il Professor Allock aveva preso in simpatia Lupin, quando, da due anni a quella parte, era divenuto il loro professore per volere stesso di Silente.
Troppo idiota persino per fare il gioco a Voldemort, e quindi molto più sicuro di altri come professore di Difesa contro le Arti Oscure.
Anche quella mattina stava sciorinando alla classe del settimo gli ultimi numeri di riviste femminili del mondo magico che lo avevano visto protagonista.
Discrezione e modestia zero, ovviamente.
I ragazzi andarono a sistemarsi sul sottofondo di quella continua tiritera ai due lati del grande palco rettangolare.
Sirius Black non lo reggeva e di certo Potter non lo vedeva meglio.
Gli occhi castani si spostavano convulsamente dal Professore ad un gruppetto poco dietro il palco, esattamente dall’altra parte della sala.
Un sorriso ironico fiorì sulle labbra eleganti di Sirius, fissando quel guizzo nervoso comparire sulla guancia dell’amico.
Una piccola fossetta che si formava nel serrare la mascella per il nervosismo.
Ovvio, fissava la Evans.
La Grifondoro stava seduta come suo solito tra Prewett, che le circondava le spalle in un abbraccio e la Luthiel che…sembrava fissare il vuoto.
Mentre Severus Piton stava ammucchiato insieme a due, tre verde-argento che al solito si erano isolati dal resto della classe.
Lily Evans spostò lo sguardo verde sul Serpeverde mentre David continuava a raccontarle della festa della sera prima per il compleanno di una della sua Casa.
Balli, baci, strane miscele, e alba in letti ignoti.
Un copione visto e rivisto.
Buttarsi nella mischia e assorbire il casino per non vivere.
Non vivere.
Non sentire.
Non provare dolore.
Lei, Lily Evans aveva mai provato dolore?
Certamente la sua in quel momento non era una bella sensazione.
Nausea, dannatissima nausea che le saliva alla gola in quei momenti.
Tenne fisse le iridi per minuti e minuti.
Ma neanche una volta vide quelle color carbone di Severus incontrare le sue.
Lui la evitava.
Ci aveva messo un po’ a capirlo, ma era palese.
D’altronde lo era stato a tutti gli altri già da molto tempo.
Ma non vede chi non vuole vedere.
Con i Serpeverde Lil spariva, diveniva una semplice comparsa.
Una persona qualunque.
Una Grifondoro.
Una.
Mezzosangue.
Una fitta accompagnò la nausea.
Quella parola. Oh sì. Severus non l’aveva mai usata davanti a lei.
Non avrebbe dovuto farlo. Perché?
Ma l’aveva sentita uscire dalle sue labbra.
Sillaba dopo sillaba.
In modo viscido, insensibile.
-Smettila.-
Si voltò la Evans, trovando gli occhi azzurri dall’espressione indurita di Prewett ad aspettarla.
Era con lei David e ci aveva messo venti minuti di sana pazienza per trattenere il Corvonero dal picchiare Severus.
Lei lo sapeva che lo aveva fatto solo per quei suoi amici. Che non lo pensava davvero.
Anche David lo sapeva.
Ma il fatto che Severus fosse una bastardo codardo, agli occhi del Corvonero non era assolutamente una scusante.
Così l’aveva semplicemente aggiunta ai motivi per odiare quel dannato.
-Vorrei solo che mi spiegasse perché…-la voce uscì sottile alla ragazza.
Si stava facendo ogni giorno più difficile fingere. Accontentarsi di quei momenti in cui era con lei esattamente come prima.
-Chiedigliela- replicò lapidario il Corvonero tornando a guardare davanti a sé.
-Non posso dirglielo, penserebbe che ci ho creduto- allibì la ragazza.
-Perché credi che sia ancora il bambino con cui giocavi da piccola?- sussurrò in modo incolore Prewett.
-Lui è Severus. Il mio Severus non è quello che tu credi.-scandì con gli occhi animati la ragazza.
-Allora sei più ingenua di quanto credessi, principessa.- sospirò David.
Lily Evans lo guardò preoccupata. Si voltò verso Miria per trovare un appiglio, ma l’attenzione della Veggente era magnetizzata da altro.
La Grifondoro allora si preoccupò davvero.
David Prewett non era mai stato così serio.


Rosalie Greengrass sospirò infastidita sul torace del suo signore, quando alla porta qualcuno bussò insistentemente.
Thomas Orvoloson Riddle, chiuse appena il mantello che giungeva sino ad accarezzargli i piedi, avvolgendo la donna che stava accucciata nuda sulle sue gambe.
Agitò la mano pigramente facendo scattare leggermente il pesante portone di palissandro.
Una testa dalla folta capigliatura scura fece capolino con riverenza all’interno della stanza.
Rodolphus Lestrange entrò solo quando un sibilo seccato di Riddle gli fece capire di mettere da parte la cerimoniosità per quella volta.
Aveva fretta…doveva sapere se l’avevano trovato…
Lo sguardo di Lestrange scivolò appena esitante sulla figura della Greengrass.
I capelli biondi ricadevano sulla schiena nuda, il mantello copriva appena la zona lombare.
Le mani di Riddle si posarono sui fianchi della donna, sistemandola meglio su di sé. Notando l’imbarazzo che le colorava il viso di un porpora assolutamente delizioso.
Narcissa si sarebbe mai imbarazzata a quel modo?
Si sarebbe uccisa piuttosto che ammetterlo.
Oh, e poi avrebbe fatto di tutto per farlo pentire della sua mancanza.

-Non ti formalizzare Lestrange- ironizzò Riddle, facendogli cenno di parlare.
-I Leprecauni hanno mentito, mio signore- Rodolphus attese qualche attimo prima di riprendere.
Stesse ad ascoltare respiri, sillabe, segni di irritazione, delusione. Rancore.
-Cosa ti aspettavi? Sanno bene come tutelare le loro protette- ribattè semplicemente Riddle.
Gli occhi rossi scintillarono pericolosamente nella direzione del mago.
Con una bacchetta fece comparire un mantello, lo gettò addosso alla Greengrass spingendola via malamente.
-Torna dopo- le intimò senza nemmeno guardarla in faccia.
La strega raccolse la bacchetta uscendo dal portone principale, abbassando appena gli occhi azzurri mentre passava di lato a Lestrange.
Uno scatto chiuse il portone dietro di lei facendo sussultare mentalmente il Mangiamorte che stava ancora a capo chino dinnanzi a Riddle.
-Potremmo…- provò il Mangiamorte inutilmente.
-Sta zitto- lo avvertì Riddle alzando imperiosamente un dito contro di lui.
Si alzò frenetico passeggiando avanti e indietro.
-Li avete uccisi tutti?- chiese guardandolo appena di sottecchi.
-Quasi mio signore…-sussurrò Lestrange con un ghigno appena accennato.
-Bene, sapete cosa fare- concluse imperioso Voldemort.
-Me ne occupo subito- fece Lestrange alzandosi ossequioso.
-No, grazie- ribattè con una nota leggermente sarcastica nella voce – Che se ne occupi tua moglie- ordinò Riddle.
-Bellatrix?- allibì- una donna…-
-Bellatrix.- scandì l’Oscuro Signore- Sono sicuro che metterà tutta la passione possibile nel suo lavoro-.


-Avete capito fanciulli e fanciulle?- sottolineò con voce fastidiosamente argentina Allock.
Peter Minus si guardava già intorno con aria confusa e spaventata.
E ora?
Remus Lupin lo fissò con aria preoccupata, così gli poggiò una mano sulla spalla.
-Tranquillo faccio io squadra con te per il compito- lo rassicurò sorridendo.
La voce di Gilderoy Allock raggiunse come una bastardissima coltellata lo stomaco delicato e nervoso di Peter. Remus potè quasi giurare di avergli visto dilatare le pupille per il dolore psicologico!
-Oh, signor Minus, ma che sciocchezze- cincischiò agitando la mano come un idiota- ho detto coppie, miei giovani fringuelli.-
Mentre James Potter vomitava dietro l’angolo a quella sparata davvero infelice, il Professore di Difesa spiegò loro cosa lui intendeva per coppie. Illuminandoli su quale sarebbe stato il compito che avrebbero dovuto eseguire per le due settimane seguenti.
Un ragazzo e una ragazza, insieme per due settimane.
A baccagliare?
No, le coscienze malate degli studenti in piena tempesta ormonale non furono moralmente giustificate dall’assegno del professor Allock.
Tre mesi più o meno esatti, da quel momento fino al mese di Dicembre, in coppia un ragazzo e una ragazza, si sarebbero allenati insieme per poi affrontare prima delle vacanze natalizie un serie di scontri in cui alla fine solo una coppia sarebbe risultata vincitrice.
Il premio un borsa di studio concessa da una famiglia benestante di maghi che aveva deciso di contribuire al risolleva mento dell’istruzione dei nuovi maghi.
Un ragazzo e una ragazza…
Fu l’Apocalisse.
James e Sirius iniziarono a irrigidirsi in modo preoccupante all’udire una serie gridolini da convulsione decisamente femminili.
Peter Minus collassò praticamente a terra, mentre Remus gli sventolava sul viso un foglio per farlo riprendere.
David Prewett sbadigliò annoiato di fronte a quel cumulo di deficienza, si girò verso la Luthiel che si limitò a fargli un segno di assenso presa da altro.
Lasciando perdere Miria che sembrava caduta in stato catatonico dall’inizio della lezione, appuntandosi mentalmente di prenotarle una seduta dallo psichiatra guardò sconvolto e inorridito Lily Evans alzarsi a passo di carica dal proprio posto, con gli occhi verdi scintillanti di divertimento…o follia? David se lo chiese sul serio quando individuò la rotta della sua migliore amica.
O meglio ex migliore amica, se il Corvonero aveva ben capito cosa quella donna empia volesse fare!
Con le iridi azzurre segnate dall’irritazione e dall’incredulità la vide marciare sicura, verso l’unico studente a cui non avrebbe mai dovuto chiedere di fare coppia con lei.
E l’unico che o avrebbe accettato sbavando o l’avrebbe umiliata tanto per fare spirito.

Evan Rosier guardò divertito una scena troppo gustosa. Tutto secondo i loro piani.
Con una mano spostò il ciuffo scuro che gli ricadeva sugli occhi, mentre con l’altra battè sulla spalla di Piton per poi piegarsi sul suo orecchio.
-Bella idea Severus…-sussurrò con quella voce cantilenante e roca che caratterizzava Rosier.
Lo studente si concesse un sorriso, sebbene in effetti assomigliasse più ad una subdolo ghigno.
Finalmente Potter avrebbe iniziato a pagarla…
-Stronzate- la voce mielosa e strascicata da snob di Alison Moore, raffinata anche nell’usare termini volgari, pietrificò sul luogo i mosconi che dall’annuncio di Allock avevano iniziato a girarle attorno.
-Non farò coppia con nessuno di voi idioti- specificò affinchè i dubbi si volatilizzassero alla velocità della luce- Minus…non hai una compagna, vero?- aggiunse con occhioni da cerbiatta.
-I-I-Io?- chiese balbettando Peter, guardandosi attorno stralunato.
-Certo, chi altri sennò?- sbuffò la bella moretta- Mi serve qualcuno che collabori, non che cerchi di mischiarmi la mononucleosi, e i Grifondoro hanno fama di essere dei gentleman- spiegò la Moore con un sorrisetto-Allora?-
-Si non sono impedito, cioè occupato…-biascicò Minus con ansia.
-Seee occupato…come i cessi Minus!- ululò qualcuno dalle retrovie.
-Hai finito di fare schiuma dalla bocca?-
Il tono sarcastico, anche troppo familiare, fece voltare un altro Grifondoro decisamente con aria incredula, tanto da fargli dimenticare il progetto di trucidare al più preso tutta Serpeverde.
Le iridi nocciola chiaro di James Potter si sgranarono leggermente trovandosi di fronte la bella e rossa Grifondoro.
Lily Evans reclinò il capo come per prenderselo in giro nel vederlo tanto stupito di trovarsela di fronte.
Per un attimo Potter sembrava aver perso la sua solita e fastidiosa baldanza.
Possibile che da zitto e magari anche dormiente non fosse così irritante?
Certo per vederlo dormire probabilmente lei avrebbe dovuto essere precedentemente stata colta da una psicosi acuta, e esserci finita a letto insieme.
O magari un giorno o l’altro di quel passo l’avrebbe presa per sfinimento…
Scosse la testa fulva a quel pensiero assurdo.
-Allora bambola, a cosa devo quest’onore?-
Ecco l’idiozia aveva preso nuovamente il sopravvento sul cervello di Potter.
I neuroni sani erano stati messi K.O. da quelli ritardati, che senz’altro si tenevano più spesso in esercizio.
S’impose di ignorare tutto ciò che in lui esisteva d’irritante, ben consapevole di come fosse l’unico modo per portare a termine ciò che aveva iniziato.
Insomma, per quanto la materia cerebrale presso la fauna femminile di Hogwarts fosse piuttosto scadente, qualcosa in quell’idiota di decente doveva pur esserci per averla attirata in così gran numero, no?
Alzò lo sguardo verde smeraldo sul viso del cercatore dei Grifondoro.
Beh, da buttare non era, ok. Magari da quelle labbra avesse almeno una volta sentito uscire qualcosa che avesse il minimo interesse, sarebbe stato meglio, ovvio.
-Potter, ora segui attentamente ogni singola parola, virgola, vocale e interiezione, sempre che tu sappia cosa siano, e cerca di non travisare ogni suono uscito dalle mie labbra- lo avvertì con sguardo serio la Evans.
-Difficile se continui a muoverle in modo così sensuale, bambola- la provocò James seguendo ipnotizzato la piega della bocca piena della studentessa imbronciarsi come sempre quando riusciva a farla irritare.
-No, Potter. Iniziamo male- soffiò Lily guardandolo storto-Si vede che non ti interessa conoscere la mia proposta- disse con sarcasmo in atto di girargli le spalle.
-Aspetta- James le afferrò la mano con delicatezza, non possessività. La attirò nuovamente verso di sé con un movimento leggero del polso.-Ti ascolto-.
-Il mio cervello e la tua fortuna sfacciata, Potter. Potremmo far conquistare punti al Grifondoro vincendo la sfida tra tre mesi e tu dovresti sentirti obbligato-aggiunse con sopracciglio alzato - visto che siamo sotto di 50 punti per colpa della tua banda di teppisti.-
-Finalmente lo ammetti che sono più in gamba di quel corvaccio che ti porti dietro…- ironizzò James.
-Chi, David?- chiese innocentemente la ragazza sbattendo gli occhioni verdi.
-Sì, Evans, il tuo ragazzo – sibilò Potter stuprandosi il cervello per quell’affermazione- era ora ti accorgessi che non vale una falce-
-Il mio ragazzo, Potter, è un Corvonero. Quindi metà del punteggio andrebbe alla sua casa. Ci vediamo dopo le lezioni, se credi che non ti obbligherò agli allenamenti non hai capito ancora nulla- concluse la Grifondoro con sorriso soddisfatto.
Meglio di quanto avesse previsto, e tutto grazie all’infantile antipatia di Potter per David.
-Ok, in Sala Comune dopo le lezioni?- chiese Potter stranamente serio.
Lily lo squadrò curiosa, poi annuì, mentre David la richiamava.
Un gomitata discreta di Remus colpì il fianco di James che lo fissò di sottecchi con un mezzo sorriso.
-Ricorda, che non dà seconde chance, Jamie…- gli consigliò strizzandogli un occhio.
Potter gliel’avrebbe pagata…
Se lo giurò solennemente Severus Piton dall’altra parte della Sala Duelli, stringendo con odio la propria bacchetta tra le mani.
-Da vero Slytherin, Severus- gli sussurrò ad un orecchio Rosier, intrufolatosi nella sua mente.

Eh no. Cazzo.
Lucinda J. Lawley era il tipico flagello di una scuola.
Menefreghismo a livelli praticamente disumani, scarsa disciplina, voti che ormai si erano stabiliti placidamente attorno allo “Scadente”, tanto da chiedersi come avrebbe fatto a superare i M.A.G.O.
Stupida non era, e fin qui era facile arrivarci, ma nutriva un profondo rifiuto per qualsiasi cosa le fosse imposto, a guardare meglio.
In realtà ad Hogwarts nessuno potè mai dire di aver davvero conosciuto la Lawley, una Corvonero che rifiutava qualsiasi rapporto sociale con il resto del corpo studentesco.
Cazzo. Sempre a lui.
Come non avesse già abbastanza grane nella sua esistenza!
Remus John Lupin, borbottava tutto questo mentre attraversava un lungo corridoio del castello per recarsi alla Storia della Magia, con grande disapprovazione di Sirius e James, che la trovavano noiosa, pedante e inutile. Più una serie di aggettivi ben poco edificanti, che come sempre Remus aveva rimosso esattamente due minuti dopo.
Maledetto Allock e le sue idee campate in aria.
Ora si trovava a far coppia con una specie di teppista dalle probabili tendenze suicide.
Già vedeva piangere la sua valutazione scolastica in Difesa a quel punto.
Come secondo quanto il tanto amato dai latini “Lupus in fabula”, una scontrosa biondina si frappose tra lui e il pianerottolo della scalinata.
Lucinda, Lux come la chiamavano tutti, o almeno quelli che osavano rivolgerle la parola, lo guardava a braccia incrociate e sguardo ben poco amichevole.
Evidentemente neanche lei aveva gradito l’accoppiamento.
-Ciao-abbozzò Remus con un mezzo sorriso.
-Sta più attento a dove metti i piedi Lupin- ringhiò la Lawley picchiettando le dita piene di anelli sul braccio destro.
-Sì, certo-
Non amava gli scontri, non amava i litigi.
Non amava rischiare.
Rischiare di perdere il controllo, di risvegliarlo.
Perché sopito non vuol dire completamente spento, Remus lo sapeva bene.
Iniziò a sudare freddo.
A questo, alla capacità di quella Corvonero di irritare gli altri, non aveva pensato.I voti a quel punto sarebbero davvero stati la sua preoccupazione.
Lei deve avere paura. Lei deve tremare. Lei deve nascondersi sotto al letto la notte.
Perché noi la troveremo, Remus, noi la troveremo, vero?

-Cocco, datti una mossa-lo richiamò Lux con sguardo ironico ravviando i capelli biondi, lunghi fino alle spalle, con le punte color cenere.
-Sì scusa.- Remus fece per superarla destato dai suoi pensieri, da un incubo lungo una vita, poi si fermò consapevole che comunque ormai non poteva più fuggire.
-Quando iniziamo gli esercizi?- chiese voltandosi di tre quarti verso la Corvonero.
Quella sgranò gli occhi grigi stupita.
-Esercizi?- ribattè con una nota sarcastica.
Ma un sarcasmo diverso da quello di Remus, di Sirius, di Lily o David.
Una sarcasmo inadatto ad una semplice diciassettenne. Stridente e…come nutrito di cattiveria.
Lo sguardo di Lupin si indurì, si fece severo.
-Esatto- scandì- o non ne sei in grado?- chiese col cuore a mille.
-Tsk, hai più palle di quanto credessi, Lupin. Allora non fai solo da spalla a quei due ritardati…-ribattè la Lawley acidamente.
-James e Sirius non sono affatto ritardati- rispose pacatamente Remus, respirando profondamente. Ecco cosa avrebbe dovuto affrontare per i prossimi tre mesi.
-Continuerò a mantenere i miei dubbi a riguardo, Lupin. Decidi tu, per quello che me ne frega…-rispose apaticamente la bionda voltandosi per andare via.
-Dovrò venire a prelevarti fino alla tua Torre e obbligarti con ricatti idioti? Giusto per sapere, Lux.--No, se mi sega Allock dovrò sorbirmi paternali lunghissime.- ribattè la ragazza ormai lontana.
Remus sospirò sollevato.
Un passo per volta. Costanza, pazienza, calma.
Solo in quel modo lui avrebbe potuto sopravvivere e lui avrebbe continuato a dormire.
Ma se Remus John Lupin avesse ascoltato meglio.
Beh, avrebbe sentito una risata.
Veniva dalla sua anima, da dentro di lui.
Era roca e chiedeva sangue, faceva finta di sonnecchiare.
Aspettando il momento giusto.


La sigaretta ancora accesa sfrigolava leggermente, mentre la cenere chiara si disperdeva sul pavimento lastricato in pietra intagliata ad arte.
Il giovane mago la fissava assorto, come non vi fosse nulla di più importante al mondo.
Era tutta la mattinata che si sentiva strano, sotto esame.
Anche in quel momento ad essere precisi.
Eppure avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto immaginarlo il motivo.
Due occhi lo fissavano dietro una colonna poco lontana.
Intimiditi o forse semplicemente imbarazzati dalla poca discrezione.
Dal sentirsi, come sempre in quei momenti, di troppo.
Una comparsa forzata in una scena non da lei costruita.
Le iridi grigie di Sirius si incastonarono in quelle di diamante di Miria Euterhia Luthiel, quando volse il viso appena sopra la spalla destra attirato da quella strana sensazione.
Cosa vi videro?
Oh, dolore, rabbia, sofferenza. Prigione, morte, sangue, urla.
No. Non le vide nei suoi occhi, a pensarci meglio.
Le vide attraverso lei.
E non c’è situazione per un bugiardo, per un bugiardo che mente persino a se stesso, che vedersi la verità restituita come uno schiaffo violento e veloce. Inaspettato.
Black si girò istintivamente dall’altra parte.
Non era un codardo. Era un Grifondoro.
Non nel sangue. Ma per scelta, per spirito.
Ma non resse oltre, quella volta.
Quella Luthiel…dannata.
Una mano fredda e liscia come la seta, scivolò sul suo braccio sinistro.
Si fermò all’altezza del gomito come intimorita.
Le dita sottili della Veggente furono bloccate dalla presa vigorosa di Sirius.
Rimasero incastrate tra la stoffa del suo maglione scuro della divisa e il palmo caldo, teso.
Il Grifondoro continuò a stringere, incurante delle labbra strette per il dolore della ragazza.
E Miria attese in quel modo, silenziosa.
Con le labbra serrate appena, e l’espressione quasi indifferente.
Attese. Attese che si placasse, come avevano fatto altri.
Come sempre sarebbe accaduto.
La maledizione dei Veggenti.
Era vecchia di millenni, ormai.
Nata quel giorno in cui una principessa asiatica aveva giocato col fuoco.
E quelle parole tremende erano state sussurrate.
Straniere si pronunceranno le labbra
tue e della Stirpe di umani dagli occhi di dei
che da te, Cassandra*, sorgerà
portando sullo spirito quest’anatema immortale.







Nota:

*Secondo la mitologia Cassandra, figlia di Priamo e principessa di Troia, ricevette da Apollo, che e aveva donato la Veggenza, una maledizione per la quale nessuno avrebbe mai creduto alle sue visioni, pena per non aver rispettato i patti imposti dal dio in cambio di quel dono.

 
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