Capitolo II: Wings or chains

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Astral;
view post Posted on 6/6/2009, 19:55








Miria Eurethia Luthiel era famosa ad Hogwarts per la sua calma invidiabile.
Anche in quel momento, nonostante la voce stizzita di David invadesse la camerata Grifondoro che la Veggente condivideva con Lily, la ragazza continuava a leggere tranquilla il suo libro di poesie francesi.
Almeno fino a quando il Corvonero non mise dispettosamente le mani sulla pagina che stava leggendo.
-David…- lo richiamò sbuffando la ragazza, ma sempre con quel tono leggero e pacato che non abbandonava mai.
-Santo cielo! Ascoltami almeno! Di questo passo morirò impiccato, come quel babbano! “L’inconcepibile!”-
Un risolino divertito scappò alla Veggente che si portò la mano alla bocca, giusto per mantenere la decenza.
-Si chiama “L’incompreso”, David- lo corresse Miria.
-Fa lo stesso!- borbottò Prewett slacciandosi la cravatta coi colori eleganti della sua Casa.
-E comunque ti ho ascoltato benissimo. Ti ho già detto come la penso esattamente due giorni fa- chiarì la Veggente fissando sul ragazzo i suoi occhi.
Erano di un azzurro così chiaro, da apparire quasi bianco ad un occhio poco attento, o facilmente suggestionabile, come nel caso di Sirius Black, ma proprio quel loro colore così particolare le consentiva di catalizzare l’attenzione dei propri interlocutori in modo impressionante, tanto che perfino il Corvonero, per una volta, si mise a tacere.
-Ti do ragione solo su una cosa- riprese tuttavia subito il ragazzo, facendo roteare pazientemente gli occhi all’amica- non funzionerà, e dovrebbe invece liberarsi una volta per tutte di quell’idiota maniaco!- sbottò Prewett.
-A volte sembri geloso di James- osservò placida Miria.
-Come no!- sibilò ironico- A meno che la storia con quella sanguisuga di Lyra non mi abbia completamente debilitato, non c’è questo rischio!- concluse schioccando la lingua.
Proprio mentre David stava per abbandonarsi ad edificanti commenti su una delle ragazze che più lo avevano spinto verso lo stillicidio, Lily Evans irruppe rumorosamente nella stanza trascinandosi dietro uno studente ridotto ad un sacco di patate.
Mai che quella ragazza riuscisse a fare qualcosa con calma, pensò Miria, memore del giorno in cui durante un’interrogazione con la sua irruenza aveva rischiato a tratti di terrorizzare Vitious.
-Buongiorno anche a te, Severus- ironizzò David accoccolandosi su letto di Miria.
-Piantala di tirarmi, Lil- sbottò il Serpeverde aggiustandosi il mantello spiegazzato- e poi si può sapere perché mi hai portato qui?-
-Mi hai detto che volevi parlare- spiegò la rossa con candore.
-Sì…-abbozzò Severus gardandosi scocciato intorno.
-Il cucciolo intendeva da soli- la illuminò ironico Prewett- E comunque…io e Lily siamo felici!- finì quasi con libidine spiando la sua reazione, mentre con un semplice gesto tirò per un braccio la Grifondoro addosso a sé sul letto della Veggente.
-Felicissimi- ribadì insinuando con un bacio la lingua tra le labbra della ragazza.
-David!-
Lily saltò giù dal letto, piantando furiosa le braccia sui fianchi, mentre Severus Piton rischiava un serio collasso nervoso sotto lo sguardo un tantino preoccupato di Miria.
-Tieni la tua lingua fuori dalla mia cavità orale!- sbraitò la Evans- non sono questi i patti, ninfomane!-
-Patti?- allibì il Serpeverde iniziando a riprendere colore.
-Noiosa!- berciò Prewett che gongolava all’idea di far venire un colpo alle già provate coronarie del Serpeverde.
-Che accordi?- insistette Piton cupo in viso.
-Quelli del piano “Avveleniamo il fegato di Potter”- celiò tutto allegro David, quasi sfregandosi le mani.
-Suona bene- borbottò Severus guardando di sfuggita Lily intenta ad appuntarsi i lunghi capelli rossi con la bacchetta di salice.
Severus Piton e David Prewett, avevano solo due cose in comune.
Al di fuori della diversa fonte di popolarità, l’innegabile charme inglese per il primo e strane voci per l’altro, il Serpeverde e il Corvonero non avevano granchè in comune.
Esclusa l’amicizia con le due Grifondoro e l’odio a priori per James Potter.
La bocca rosea di Lily Evans si piegò in un ghigno divertito al pensiero del suo progetto, che, ne era sicura a dispetto di quanto Miria dicesse, le avrebbe finalmente ripagato anni di scherzi e piazzate storiche nel cortile di Hogwarts e Ai Tre manici di Scopa.
-Non ne hai idea, Sev! Potter rimpiangerà anni di idiozie, finalmente. Non sono più la ragazzina del terzo che per ripicca gli toglie calderoni di punti! E’ evidente che con quel pallone gonfiato non funziona. Quindi ho intenzione di giocare con le sue stesse carte- spiegò la Evans con gli occhi verde che le luccicavano in modo inquietante.
-Cioè? Beccarti un mare di punizioni e gingillarti con il primo che passa?- brontolò adesso meno convinto il Serpeverde- E lui a che ti serve?- sibilò puntando il dito verso Prewett.
-Sono figo- celiò semplicemente David sorridendo falsamente- E Potter crede sicuramente che mi sbatto la sua Evans- concluse con eleganza, beccandosi un occhiataccia dalla Grifondoro e un sibilo di disgusto dalla Luthiel.
-Potresti evitare di usare il termine sbattersi e il mio nome nella stessa frase, e soprattutto io sono mia, non di Potter- sibilò la rossa.
Severus Piton rabbrividì notando Miria sogghignare tra sé e sé.
Quella Grifondoro… a volte sembrava osservare il mondo dietro una bolla di cristallo, muoversi dietro quel vetro splendente che la separava dalla vita, dagli altri.
Oh, sì.
Miria Eurethia Luthiel era diversa dalle altre streghe, il suo dono di Veggente l’aveva relegata in un inferno parallelo in cui vita e morte si mescolavano macabramente ad ogni istante.
E Severus Piton spiando quel sorriso se ne avvide ancora una volta, mentre un brivido freddo correva traditore lungo la sua schiena.


In un corridoio poco lontano, all’interno della stessa Torre, un sospiro impaziente solleticò leggero il lobo dell’orecchio di James Potter.
Il Grifondoro sorrise sulla pelle ambrata della ragazza fregiata dei colori blu e argento, seguendo con le labbra la linea morbida della clavicola.
La mano del giovane cercatore iniziò lentamente ad insinuarsi sotto la camicia bianca della ragazza, chiudendosi sul seno gonfio che seguiva ormai il respiro pieno per la voglia.
-Jamie…-la voce ridotta ad un sussurro della ragazza richiamò l’attenzione di Potter, che con bocca schiusa giocherellava con le sue labbra rosse.
Come per prendere tempo…
Con una mano dietro la sua nuca, la schiacciò sul proprio torace togliendole il respiro per un attimo.
Baciandola stretta in questo modo la trascinò poco più avanti, spingendo la porta della camerata con la schiena per non interrompere quel contatto.
Interrompi la magia e sarai perduto.
Perché allora la finzione non sosterrà più la maschera dietro la quale ostinatamente ti celi.

La camicia della divisa era già scivolata a terra, quando un colpo di tosse, segnò plausibilmente la fine della serata.
Un battito di mani accese un candido fuoco fatuo accanto ad uno dei quattro letti della camerata, mostrando l’espressione ironica di Sirius Black, comodamente svaccato sul piumone.
-Disturbo?- chiese alzando seccato un sopraciglio.
-Sir…- borbottò il Cercatore, fissando con aria assassina il suo migliore amico.
O meglio, ex-migliore amico, visto che appena liberatosi di quella lo avrebbe senza troppi indugi impiccato al baldacchino del suo stesso dannatissimo letto.
La studentessa di Corvonero intanto, picchiettava innervosita il tacco sul parquet scuro della stanza, aspettando che Potter prendesse qualche edificante decisione.
-Sirius, non avevi detto che saresti andato a tirare un po’ di scherma stasera?- chiese James angelicamente.
-Non mi pare- fece sadico il piccolo Black.
James Potter si voltò verso la ragazza che attendeva con sguardo minaccioso e disse la cosa più stupida che ogni uomo con un po’ di comprensione verso la “strana” mente femminile avrebbe potuto uscire.
-Scusa, come vedi c’è stato qualche problema di comprensione, magari ti richiamo un'altra volta- fece sorridendo tranquillo.
Come se stesse parlando con un pacco postale.
-Una specie di disguido?-
-Esatto- esclamò Potter alzando i pollici all’in su come se stesse parlando con una ritardata.
-James?- lo chiamò angelica la Corvonero.
-Sì?-
-Crepa!Non vado a ore!- detto ciò sbattè violentemente la porta sibilando maledizioni a iosa.
James Potter si limitò a incassare le spalle e poi gettarsi con un sospiro pesante sul piumone scuro dell’amico.
-Prego- ironizzò Black facendo spazio all’amico.
-Ti odio Black- replicò stizzito James- ho quasi pagato Remus per levarlo di qui e poi ci trovo te a farmi la posta-
-Ti pagherò una puttana la prossima volta che andiamo ad Hogsmeade- rispose pigramente Sirius.
-Divertente, mi hai rovinato la serata e non credo che Lavinia sarà facile da riavvicinare, hai visto come ha sbattuto la porta? L’hai messa in imbarazzo-
-Sei un cretino, Potter.- si limitò a sentenziare Sirius, evitando di entrare nei meandri del ragionamento femminile che a quanto pare continuavano a rimanere completamente oscuro all’amico.
-Si può sapere perché te ne sei rimasto qui?- borbottò ancora Potter richiamando a sé con la bacchetta una piccola pallina luccicante.
-Senti, ma hai intenzione di restituirla prima o poi?- chiese sarcastico Black seguendo la mano veloce dell’amico afferrare e lasciare il boccino d’oro sgraffignato a Madama Boom.
-No, ormai è mio- replicò James, stringendo con forza la pallina.
-Ha ragione Lunastorta, sembri un moccioso quando fai così- lo schernì Black.
-Lui è me.- disse assorto il Cercatore, mentre Black lo fissava stranito.
-Il boccino?- chiese iniziando seriamente a preoccuparsi per la salute mentale dell’amico.
-O quantomeno quello che voglio essere fino in fondo- cercò di spiegare Potter rigirando la preziosa pallina tra le mani.
-Cioè?- chiese con gli occhi grigi incuriositi il piccolo Black, mentre, facendo leva su un gomito, si metteva a tre quarti.
-Libero- sussurrò come si trattasse di una confessione.
Sirius Black si sdraiò nuovamente per intero, fissando intensamente il baldacchino color rubino che lo sovrastava.
Libero…sì James Potter lo sarebbe sempre stato, pensò orgogliosamente.
Nella mente, nel cuore, nell’anima.
Non vi erano catene in grado di trattenere certi spiriti, bastava guardarlo negli occhi nocciola solo per un attimo e andare oltre la maschera di superficialità per capirlo.
James Potter sarebbe morto per poter ancora risplendere della propria luce, per essere libero, per essere vivo nell’anima.
E lui?
Sirius Black fissò amaramente l’anello fregiato di fini lapislazzuli che attorniavano un “B” incisa in gotico sul proprio anello.
Avesse guardato con gli occhi del cuore, l’avrebbe vista cauterizzare con un marchio a fuoco a pelle di burro del proprio anulare.
Sigilli e catene.
Questo era quello che, nonostante i tentativi di ribellarsi, Sirius Black vedeva nel proprio futuro.
Le mani affusolate si posarono stancamente sugli occhi chiusi, mentre sentiva rafforzarsi un fastidioso cerchio alla testa.
Bellatrix era stata chiara. Il decreto era giunto.
Lui era la preda. Loro i cacciatori.


Liquido color oro si muoveva sinuosamente all’interno della flute longilinea al movimento annoiato di Narcissa Black.
Gli occhi azzurri annegavano nello champagne ogni pensiero, ogni ricordo.
Evitavano di indagare tra gli invitati che veleggiavano eleganti in tutta la Sala di Lestrange Manor dove suo cognato aveva riunito tutti il sangue più puro della Gran Bretagna.
La futura Lady Malfoy, dava sempre l’impressione di stare al di sopra di chiunque pur non proferendo minimamente parola, il suo sguardo, la sua postura altera, il semplice modo di atteggiare le labbra in segno di fiero disappunto, trasmettevano la distanza palese tra lei e il resto dei maghi presenti nella sala.
La dea di Slytherin non era arrogante, lei non ne aveva bisogno.
Le labbra perlate si arricciarono appena sentendo le oscene disquisizioni di un Conte del Galles.
Un signore che aveva da un bel pezzo oltrepassato i cinquanta al braccio di una ragazza che avrebbe potuto essere sua figlia, se non sua nipote, ma il conto alla Gringott valeva più di qualsiasi registro anagrafico in quel mondo.
La bella Black lo aveva compreso all’età di sedici anni, quando era riuscita a sfuggire per miracolo alle mire di un Lord che poco tempo dopo aveva messo incinta e sposato una mezzosangue.
I due erano misteriosamente scomparsi qualche mese dopo, senza lasciare traccia, avvolti nel silenzio della nobile famiglia.
Non che Narcissa Black amasse i Mezzosangue.
Deformazione familiare a parte, la sua concezione della magia come essenza nobilitante le impediva di comprendere quelle unione tra maghi e babbani che sporcavano quel dono, imbarbarendone l’originale purezza.
Tuttavia non amava imbrattarsi le mani di sangue, non amava la violenza fisica.
La bionda strega aveva compreso come parole sottili, silenzi studiati e fredda alterigia potessero costituire fendenti ben più dolorosi di quelli inferti da una spada.
-Cosa cerchi, principessa?-Una voce affilata e sensuale la raggiunse alle spalle facendola sobbalzare appena.
Voltandosi verso l’interlocutore si maledì mentalmente per non essere mai pronta a quelle apparizioni, eppure quando fu faccia a faccia con l’uomo le labbra si serrarono inibite, mentre la strega sentiva vacillare le proprie difese, la propria maschera.
Gli occhi blu dell’uomo, corsero divertiti e bramosi sulla linea morbida che il vestito da sera delineava sulla Black.
Ancora una volta la perfezione di quel volto la colpì come frustata, torturandola sadicamente.
Thomas Orvoloson Riddle, esibì un elegante e artefatto sorriso sulle labbra inumidendole davanti agli occhi rapiti della donna con un gesto quasi impercettibile.
Il Lord Oscuro, amava quel gioco.
Godeva nel provocarla davanti a tutti, nell’osservarla lottare la Lady e la donna che vivevano in Narcissa Black.
Freddo contegno nella prima e desiderio cieco nella seconda, quella che solo lui le aveva fatto scoperto di possedere.
-Controllati- sibilò la bionda strega tra i denti mentre le unghie si conficcavano nei palmi bianchi delle mani.
-Osi dare del tu al tuo Signore- la provocò Riddle, mentre le labbra indugiavano con studiata lentezza sul bordo sottile del calice ormai vuoto.
La voce appena più alta fece sobbalzare la strega, con una di quelle misture di paura e irritazione che solo quel mago riusciva a darle.
Ma lei aveva davvero paura del Lord Oscuro?
Se lo chiese per l’ennesima volta quella sera, mentre il chiacchiericcio della gente copriva i suoi pensieri.
Non della stessa paura che provavano gli altri Mangiamorte, ovvio.
La sua era un paura subdola, diversa, che difficilmente riusciva lei stessa a collegare a qualche particolare situazione.
Allora di cosa?-
Che il gioco si concluda e arrivi la condanna- la voce suadente e serpentina di Riddle si insinuò nella sua mente.
Un moto di stizza invase la strega.
-Niente Legimens con me- lo avvertì- Thomas- aggiunse poi a voce bassissima, temendo che qualcuno potesse cogliere quella sfumatura confidenziale.
Che il Lord Oscuro avesse al suo seguito un nugolo di cortigiane non era un mistero per nessuno. Né alcun Mangiamorte avrebbe mai davvero avuto il coraggio di rivendicare il proprio onore, tradito dalla moglie.
Ma Narcissa Black non amava rientrare nella massa.
Non amava essere annoverata tra una di quelle puttane che si strusciavano sotto le sue lenzuola.
-Il tuo fidanzato?-
Un ghigno velò le labbra di perla della Lady.
-Starà intrattenendo qualche fanciulla bisognosa di attenzioni- sibilò Narcissa.
-Siete nervosa Milady?-
-Sinceramente?-
Il Lord Oscuro la fissò intensamente, annunendo col capo.
-Preferire che dopo le uccidesse, almeno non dovrei temere di dare le spalle ad amanti isteriche che molla dopo una notte- spiegò la bionda Black trattenendo il tono col suo solito contegno.
Incredibile. Stava lì a discutere con l’uomo di cui forse recava ancora addosso l’odore, dei tradimenti del suo futuro marito.
-Curioso. La gelosia dovrebbe appartenere solo a chi ama- sussurrò suadente Riddle.
-E’ per questo che io non provo gelosia neanche per voi, mio Signore- si beò di insinuare la strega.
Poggiando il calice sul tavolo si limitò a sorpassarlo, ma un solo gesto deciso e impalpabile al tempo stessi bastò a bloccarle il passo.
La mano pallida di Riddle si posò sul suo braccio guantato, facendola sospirare appena.
Acido il respiro arrancò nella gola sottile.
-Un giorno sarai mi completamente-sibilò facendola tremare, ma mista all’eccitazione stavolta vi era la rabbia, la paura, l’irritazione.
-Te l’ho già spiegato, Thomas, non recherò i tuoi sigilli sulla mia pelle- scandì la donna-Mai.-
Con delicatezza si staccò dal mago e si perse tra la folla degli invitati.
Risucchiata in un vortice di vesti, colori, vino e ipocrisie che si mescolavano nell’aria impregnando visi e voci di quella gente.
Narcissa si perse in mezzo a tutto quello, tentando di dimenticare quel filo sottile sul quale da mesi camminava senza riuscire a fermarsi. Quando si era persa in quel corpo e in quel miasma di catene e ali e tenero oblio.

 
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