Finalmente buio

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Astral;
view post Posted on 1/5/2009, 19:49




Titolo: Finalmente buio
Dove trovarla: EFP
Introduzione: "C’era odore speziato, forte, nell’aria. Assenzio mischiato ad alcool che sferzava le narici, corrodeva la gola ad ogni respiro.
Un odore a cui molti di loro ormai si erano assuefatti con passiva rassegnazione o beata incoscienza.
Attorno a lei, in quella piccola stanza simile ad un ripostiglio, il buio divorava e inghiottiva il bianco delle alte pareti.
Finalmente."

Mary Alice Brandon, era la visionaria, la folle. Attorno a tutto quel bianco fastidioso e asettico, solo le visioni la sostenevano.
Loro e quelle iridi, pura ambrosia, che presto l'avrebbero trovata.
Un breve missing moment sulla piccola Alice Cullen e quel passato che non ricorda. Sul suo angelo protettore e su Jasper che già nelle visioni le sorrideva.



C’era odore speziato, forte, nell’aria. Assenzio mischiato ad alcool che sferzava le narici, corrodeva la gola ad ogni respiro. Un odore a cui molti di loro ormai si erano assuefatti con passiva rassegnazione o beata incoscienza.
Le pareti si susseguivano indolentemente uguali, bianche e lucide come una fittizia casa delle bambole. Come un luogo pieno di fittizia luce.
Bianco. Bianco. Bianco.
Le lenzuola, i camici, i tavoli, le sedie.
Bianco. Bianco. Bianco.
I visi, i sorrisi, gli sguardi.
Ma il bianco non è colore, è annullamento e rifiuto di esso.
Con le mani pigiate infantilmente sulle orecchie, infilate tra i capelli scuri e spettinati, ovattava i già deboli suoni. Si chiudeva in una bolla sottile che la separava dal bianco, dal quel nulla irritantemente movimentato.
Con i gomiti delle braccia sottili poggiati sulle ginocchia, si dondolava avanti e indietro come al ritmo di una estenuante ninnananna. I piedi avvolti semplicemente nella lana delle calze pesanti si sollevavano leggermente seguendo quella melodia appena accennata.
La voce della ragazza, di un delizioso timbro argentino, soffiava attenuandosi sulla stoffa chiara della lunga veste . L’orlo seguiva l’ondeggiare delle gambe scoprendo i segni violacei che coprivano l’epidermide chiara.
Ecchimosi e piccoli tagli sfregiavano i polpacci in modo più o meno profondo, alternati a vecchie ferite ormai cicatrizzate.
Attorno a lei, in quella piccola stanza simile ad un ripostiglio, il buio divorava e inghiottiva il bianco delle alte pareti. Finalmente.
Come un manto salvifico avvolgeva protettivo le spalle di Alice, la scaldava con le sue tonalità dolcemente opprimenti. Un abbraccio che dava un sentore di sicurezza e quiete a quello spirito che vagando assente per le altre stanze maledettamente bianche si sentiva spaesato, abbandonato. Punito.
Fuori di lì non era libera di vedere le cose vere, era costretta a doppiare un’ Alice che il mondo aveva inventato per proteggersi da ciò che temeva.
Ci sono nuovi Prometeo e Demetra che camminano tra gli uomini. Scambiati per folli, per demoni, per malati…
I mortali li rifiutano, li combattono.
Vili e incoscienti. Sciocchi e arroganti.

Gli occhi del colore della bruna terra stavano socchiusi, velati di una leggera patina di sonnolenza apparente. Le ciglia immobili le davano l’aspetto di una piccola bambola rotta, accasciata su se stessa, solo il continuo dondolare la rendeva viva.
Lingue sottili e improvvise di luce si insinuavano fulminee tra la nebbia che offuscava le iridi e le palpebre appesantite dal fatuo sonno. Sbiadite immagini si affacciavano alla sua mente e al suo cuore, alcune piene di una strana luce dorata e brillante, come una cascata di polvere fatata baciata dal sole, altre terribili, nefaste.
Ammonitrici.
Colme di urla strazianti, di fuoco che lede le carni, di sangue. Tanto sangue.
Il respiro di Alice prese ad aumentare a quegli ultimi flash, incespicava nella gola. Le spalle deboli e curve tremavano e si contraevano a scatti come colpite da frustate improvvise.
Un gemito lamentoso, a lungo trattenuto, sfuggì esasperato dalle sue labbra umide di saliva e sangue per i morsi che le avevano ferite superficialmente durante la frenetica, seppur breve, visione.
Una lacrima solitaria e traditrice, rotolò sul viso imperlato di sudore. Le braccia si strinsero attorno alle ginocchia su cui l’addome si premeva in posizione fetale.
Cercava di proteggersi la piccola Alice …
Uno scatto troppo familiare si propagò dalla porta in legno chiaro che le stava davanti. Accucciata contro la parete fredda, si strinse ancora di più a sé.
Lei aveva solo se stessa, era sempre stato così. Neanche il signore con gli occhi degli angeli poteva salvarla…
Due infermieri, un uomo e una donna entrarono a passo svelto puntando direttamente verso Mary Alice, sul volto un’espressione stizzita, come se quei gemiti li avessero distolti da qualcosa di troppo importante.
La donna, magra con i capelli cenere raccolti in un ispido chignon, storcendo il naso osservava impassibile il collega arrotolare le maniche del camice attorno alle braccia nerborute e poi chinarsi verso la “visionaria”.
Le unghie, tagliate maldestramente e in profondità da qualche infermiere ancora meno paziente giorni prima, tentarono inutilmente di ferire quella carne, quelle braccia che tentavano di chiuderla in una morsa dolorosa.
Mary Alice Brandon sapeva che sarebbe stato inutile. Troppo piccola per dibattersi con sufficiente intensità, troppo sfortunata per soffrire una sola volta.
Il dolore che dagli occhi vitrei si propagava nella sua mente, quando ancora era solo fumoso incubo.
E una seconda volta quando le scosse vibravano sotto la sua pelle, quando le dita sottili artigliavano lenzuola sporche e stropicciate da decine di sofferenti…
Due volte nel dolore, due volte la stessa morte.
La donna minuta con sguardo seccato stringeva le nocche di Alice, aggrappate disperatamente allo stipite ligneo della porta, in un ultimo tentativo di evitare[illusa] quella pena [la decisione era già presa].
Lei non aveva finito di vedere. Non poteva andare, non poteva seguirli.
Un sorriso e [altri] occhi di ambrosia, lontani ma rincuoranti, non erano apparsi alla sua mente. Il sogno non si era concluso…Ne aveva così bisogno…
Il miele prima della fiele. L’assoluzione prima del patibolo.

Un singulto attraverso frenetico le sue urla, le sue preghiere. Una sensazione di soffocamento le chiuse la gola quando gli occhi scorsero sulla grande vetrata del salone principale, attraverso la porta socchiusa dietro la quale bambole senza vita quasi, sedevano sommessamente ai tavoli. Un lamento, un singhiozzo, un grido. Ogni tanto. Poi subito soffocato.
I suoi occhi andarono oltre, veloci, quella gente. Si posarono fugaci sulla finestra, scorgendo una figura. Un ghigno.



Era buio tanto buio.
Finalmente.
Le labbra da folletto fiorirono nuovamente.
Gli occhi d’ambrosia le sorridevano,
giocavano con i suoi che li riflettevano ora nel colore. La salutarono.
Ti troverò, amore mio.

 
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